Alcuni estratti del dibattito sull’Altra tradizione, in collaborazione con la rivista Una città
Una città, ottobre 2000
l’ ‘altra tradizione’, quella perdente, la socialista libertaria, l’anarchica, la proudhoniana…
Una città, ottobre 2001
è da anni che insistiamo con l'”altra tradizione”, andando a rivisitare pensatori e figure di militanti che allora non caddero nella trappola micidiale dell’idea comunista (insistiamo: sembra proprio che anche sul piano delle idee politiche il crollo del comunismo lasci un vuoto talmente grande, una specie di desertificazione, analoga a quella che lascia nel sociale dove era al potere).
Una città, giugno 2005
Vorremmo fare il punto sul nostro impegno, della rivista innanzitutto, su buone pratiche e “altra tradizione” nella convinzione che lì, in quell’intreccio, ci sia la traccia da seguire per liberarsi dalla stretta fra nostalgia di identità (guarda caso, sempre statalista) e puro e semplice “buon governo”, sia pure riformista.
Mail di Antonio Becchi, abbonato, del 30 settembre 2005
Avevo incontrato Gino soltanto tre anni or sono, ma il suo nome mi era
noto sin dall’infanzia, attraverso i racconti di uno zio pittore, Antonio
Saba Telli, amico suo e di tanti altri ‘espatriati’. Albert, Nicola,
Miriam, Andrea (Caffi), Gino appartengono alla piccola brigade che,
silenziosamente (‘assenza, acuta presenza’), ha segnato la mia formazione.
Un gruppo di ‘combattenti’ non-allineati, testimoni d’eccezione di una
cultura ‘altra’ (l’’altra tradizione’, appunto), immune dalle tare
modaiole e dal narcisismo salottiero di tanti contemporanei. Gino
combattente lo era per vocazione e per volontà, nella sua vita lo ha
dimostrato sino all’ultimo, lasciandoci un esempio formidabile di
intelligenza, generosita’, umanita’.
Fondazione Alfred Lewin, 2007
Quindi la biblioteca, intitolata a Gino Bianco, è una biblioteca di cultura politica, mirata ai seguenti campi: (…) a quella che noi abbiamo chiamato “l’altra tradizione”, la tradizione non marxista del movimento operaio. A questo riguardo una particolare attenzione la biblioteca vuol dedicare alle riviste militanti “minoritarie”, avendo in animo di impostare un lavoro, rivolto soprattutto ai giovani, di divulgazione, ma anche di riflessione e attualizzazione. A tal proposito la futura biblioteca ha già ricevuto le donazioni delle collezioni complete de La Voce di Prezzolini, de Il mondo di Pannunzio, de Il tempo presente di Silone e Chiaromonte, de Il ponte di Calamandrei, dei primi vent’anni di Critica Sociale; ha inoltre acquisito la collezione de L’unità di Salvemini, assai rara.
Scambio di mail tra Thomas Casadei e Gianni Saporetti, marzo 2007
che necessità c’è oggi di declinarsi – in negativo – con l’anticomunismo….? Perchè non pensare invece all’altra tradizione – in positivo- come un socialismo pluralistico, pluriassociativo, liberale e libertario….??
a presto! Thomas.Thomas, ma magari! Ci sono almeno due problemi però. Il primo, di principio, è che il pluralismo non vuol dire Berneri, Rosselli, Chiaromonte, Caffi, Colorni, ecc. più Togliatti. Non vuol dire tenere insieme l’assassinato (Berneri) e l’assassino (Togliatti), il democratico e il totalitario.
Secondo: quale tradizione è presente, forte, celebrata e rinnovata in Italia? Quella dei Rosselli, ecc.? A me non sembra proprio. L’Italia è un paese in cui Solgenitzin non è stato neanche letto, in cui nessuno si è commosso per i milioni di morti da comunismo e nessuno si è mosso per i polacchi; in cui abbiamo ancora due partiti comunisti, in cui l’altro partito della sinistra si divide perché una parte vuol abbandonare la parola socialista per salvare il proprio passato comunista e gli altri, per lo stesso motivo, ci si attaccano, e tutti felicemente statalisti; in cui l’unico giornale uscito dal 68 (in qualche modo) si professa tuttora “comunista”; è il paese dove i comunisti possono scrivere autoagiografie ed essere celebrati in tv come grandi personaggi della storia repubblicana, dove in ogni città ci sono vie dedicate a un Togliatti che diresse il pogrom contro i trotzkisti e gli anarchici in Spagna, invocò i carri armati contro gli operai di Budapest e si oppose alle rivelazioni sui crimini di Stalin; in cui gli ex del 68, quando va bene, dicono che non poteva andare diversamente, che è stato importante essere stati comunisti per non esserlo più, in cui non si dice mai la verità sulla violenza; è il paese in cui se a Bologna i cosiddetti movimenti vogliono celebrare il 77, si fa un buffet chiamato “cantunzein”, in onore della distruzione del ristorante di piazza Verdi che fu un atto di pura barbarie squadrista. In questa situazione, poi, qualche anima bella si chiede perché in Italia si riproduca periodicamente anche il partito delle Brigate rosse comuniste. Scusa lo sfogo. Gianni
Una città, 3 marzo 2007
la battaglia culturale che chiamiamo dell’Altra tradizione (noi insistiamo, checché ne dicano tutti: si continua a sentire una gran mancanza di un anticomunismo e di un antistatalismo di sinistra).
Una città, 24 ottobre 2008
Sui suggerimenti di Giorgio sul volantino del “primo ingresso”: non siamo d’accordo nel togliere dall'”editoriale” tutta la seconda parte che riguarda l’Altra tradizione. Questo è un problema che ci poniamo e soprattutto ci pongono altri da tempo. Perché insistere tanto su questa storia dell’altra tradizione? Non sarebbe meglio fermarsi alla parte “domande”. Oppure: a fare solo un magazine, sia pure, certo, di sinistra, andreste molto meglio… Adesso, qui è difficile fare questa discussione, diciamo solo che “non ce la facciamo”. La rivista nasce “militante” ed è un ibrido fra raccontare la realtà e ripensare la sinistra. D’altra parte non c’è contraddizione: tutta l’altra tradizione tiene ben separati, ma legati allo stesso tempo, ideali da una parte e curiosità, fedeltà alla realtà, ai problemi e al pragmatismo nell’affrontarli e quindi al pluralismo, e una cosa serve all’altra reciprocamente… Detto questo delle osservazioni di Giorgio ci sembra giusta la critica al “benaltrismo” come l’ha chiamato: quell'”altro modo, altro mondo”, suona troppo alternativo. Forse “mondo migliore” sarebbe l’espressione più limpida ed esatta: non è quello, migliorare, che in fondo è già successo tante volte grazie alle lotte, al sacrificio, all’impegno di generazioni di lavoratori, militanti e uomini di buona volontà? Quando hai voluto tutt’altro si son fatti disastri spaventosi.
L’espressione “socialismo umanitario” nella “dichiarazione di fede” invece non la cambieremmo perché, oltre che canonica (Salvemini e altri) è perfetta nella sua contrapposizione al “socialismo scientifico” che tante catastrofi ha provocato. Il liberale è insito e comunque c’è subito dopo.
Una città, 2010
“quella tradizione libertaria e cooperativistica, pluralista, non statalista, della sinistra italiana ed europea, del tutto dimenticata e rimossa. Forse senza una qualche carta d’identità è difficile vivere e forse la sinistra la sua non può che ritrovarla in quella tradizione”
Una città, 22 aprile 2010
Riguardo l’altra tradizione Francesco Ciafaloni, ricordando che principi e pratiche non sono separati, ha proposto di riscoprire anche i “politici pratici”, ossia coloro che hanno praticato un socialismo umano anche in campi appunto pratici, come la medicina, la scuola, la psichiatria, ecc.
Interviste e approfondimenti
“Crisi coi novatori – articolo di Gino Bianco”
Da “Critica Sociale” ANNO 55°/Numero 7 – aprile 1963
“L’eremita socievole”
Intervista a Gino Bianco di Franco Melandri – Una città n. 51, giugno-luglio 1996
“Quando Marx, Bakunin e Proudhon…”
Intervista a Franco Melandri da Una città n. 22, maggio 1993
“Le due anime” intervista su Andrea Caffi
a Nicola Del Corno e Sara Spreafico, da Una città n. 163, marzo 2009
Sull’anticomunismo di sinistra – un dibattito degli amici di Una città
pubblicato su Una città n. 146, marzo 2007